Ernesto Mattiuzzi  (1900 – 1980)

 

 … Doué d’une personnalité assez forte pour rester indifférent aux suggestions des formules à la mode, il n’est point de ceux que les lauriers truqués de certains peintres modernes empéchent de dormir. Il marche avec certitude dans le chemin qu’il a choisi, dont il a parcouru avec succès quelques étapes et qui semble devoir le mener haut et loin dans les régions de l’art. 

Clément Morro  da – La Revue Moderne Illustrée  – Parigi 1926 .

 

Non sembrano certo opere di un pittore contemporaneo quelle esposte in questi giorni alla Galleria Cima. Dalle opere di Mattiuzzi, infatti, la figura emerge prepotente nelle sue classiche forme come dalle tele del Rinascimento. Il particolare fa pensare alla pittura fiamminga. 

Vittoria Magno   da – Il Gazzettino di Venezia  – 1964 

 

… Artista figurativo, Ernesto Mattiuzzi esprime in ogni sua opera un classicismo ed un amore per l’arte pura, che, effondendosi nelle morbide linee, nei suggestivi chiaroscuri, richiamano alla mente la pittura rinascimentale; mentre la minuziosa cura dei particolari e l’equilibrio cromatico ricordano l’Arte fiamminga. 

A. M. Debonís    da – Arte Sacra Contemporanea – Ediz. Cerga – 1968 
 

 

.. Se più volte abbiamo affermato che l’arte non subisce erosioni di tempo, né ha da seguire mode, né ancora deve necessariamente rispecchiare il  ” momento”  della sua creazione, bensì deve impellentemente riportare il pensiero quanto mai personale e singolare dei suo esecutore, nell’opera di Ernesto Mattiuzzi ne troviamo ampia e novella conferma. Le sue composizioni con figure, i suoi nudi trascendono tempo e moda e si riallacciano ad una tradizione che resta pur sempre vanto e priorità italiana. Gli è che Mattiuzzi non “giuoca” con l’arte ma sa che essa è sacrificio, è ascensione alla perfezione, è motivo di riavvicinamento a Dio, è riporto dei vero con lo spolvero della trasfigurazione peculiare all’artista, ovvero, della sua personalità. E l’arte di Mattiuzzi, questa pittura nitida e solida, attenta e sagace, vigorosa ed espressiva, s’articola con le ” solite”  sette note ma con una armonia di eccezionale rilievo. 

Aurelio T. Prete    da – Corriere di Roma  – 1968

 

… Indubbiamente Mattiuzzi è un artista che, pur conoscendo a fondo, come studioso, i movimenti iniziati nella seconda metà dei secolo scorso e moltiplicatisi poi in Francia, in Italia e in altri paesi europei, è rimasto nella pratica insensibile agli stessi e dei tutto indifferente all’incessante susseguirsi di correnti. Egli stesso precisa di avere preferito all’occorrenza  “prendere in casa”  una lezione diretta e più efficace dai grandi artisti dei quattro, cinque, seicento e ottocento, senza tuttavia rinunciare alla propria indipendenza e libertà artistica. “Perché – afferma – non dovevo io essere libero di esprimere pittoricamente i miei sentimenti nel modo più confacente alla mia natura, con un linguaggio che non richiede interpreti, il linguaggio dell’arte parlato da pochi e compreso da tutti: universale ed eterno? “.

da – Pittori e Pittura Contemporanea – Ediz. Il Quadrato – 1974 

         Riflessione critica e momento creativo, potenzialità espressiva, radici culturali, esperienze di vita, sensibilità, vivere a contatto con la natura, amarla con grande passione, sentirla nel profondo e nei momenti in cui la divinità concede la sua grazia, riprodurre nelle tele ciò che dagli occhi è passato nel cuore. Il Mattiuzzi, come altri bravi pittori veneti famosi nella storia figurativa dell’arte, sono maestri di colore, forma, stile, per cui avvicinandoci ad ognuna delle sue opere, attraverso i colori, i soggetti, le figure, noi riconosciamo subito l’autore, la sua umanità e quindi la sua grandezza. La natura come maestra di vita, come ispiratrice, studio, armonia, passione e amore, formano i cardini della sua pittura che gli ha permesso attraverso un lavoro serio e continuativo, di raggiungere il livello della classicità, che supera i tempi e resta esempio di bellezza fonte di studio, ammirazione dei visitatori che amano l’arte vera, quella che provoca emozioni, suscita i sentimenti più belli, favorisce il sorgere di amicizie, cordialità, umana simpatia e stima..Nei suoi insegnamenti, di disegno, arte della pittura, funzione ed apprezzamento della luce che, partita dai Paesi Nordici arrivò a Venezia e di lì si diffuse in Europa, lo fecero distinguere da altri artisti del ‘900, che credendo nell’arte fotografica, come riproduzione perfetta, ma nella quale, le tele mancavano dell’anima del pittore, nelle sue misure, in quei colori che esprimevano la vita in tutte le sue manifestazioni. Osservando le sue opere sin dall’inizio, si vede un grande rigore, una ricerca continua della perfezione, fino a raggiungere il suo stile, liberandosi completamente dalle regole dell’Accademia, per esprimere tutto se stesso. Dal suo libro  “Arte fra le due guerre”, ho scelto tre punti che spiegano in maniera precisa i cardini della sua arte: ” Realismo di fronte alla realtà: realismo inteso quale corrente del pensiero che considera la reale presenza delle cose, oggetto di rappresentazione artistica ( pittura, scultura,…) non solo della natura, ma del mondo attuale per quello che è e per quello che appare ai contemporanei. Realismo e Neorealismo, di tutti i tempi e del nostro tempo o moderno realismo. ( Ricreazione fatta dall’artista in modo personale e  soggettivo, cioè l’espressione di una verità umana). Il Neorealismo si è formato in opposizione dell’Astrattismo. Sono i valori plastici che contano: “Argomento, Soggetto, Descrizione, Racconto”, vari aspetti e momenti della creazione artistico — letteraria. L’ARTE e la LIBERTÀ. ” L’Arte è la pura espressione dello spirito e libera da ogni necessità del mondo fisico, essendo la natura sua fonte di ispirazione e punto di partenza. Nella Legge dello Stato, che stabilisce i modi e i limiti,  LA LIBERTÀ  DI PENSIERO E DI AZIONE, E’ UN DIRITTO DELL ‘UOMO. Nella Legge dell’Arte, che è Legge Superiore e Divina, LA LIBERTÀ  DI ESPRIMERSI E’ UN DIRITTO DELL ‘ARTISTA. QUESTIONI ESTETICHE: La Materia e l’Arte. L’Arte è una rivelazione dello spirito e un fatto che prova l’esistenza e misura la sensibilità. L’Arte figurativa è quella che si forma sulla natura e trae le immagini che sono le parole del suo linguaggio. La forma è rappresentata per la pittura dal disegno e dal colore, l’ombra e la luce; per la scultura dallo svolgimento plastico dei piani in funzione del chiaroscuro che esso determina. Possiamo dire senza alcun dubbio, che Ernesto Mattiuzzi è stato un bravo disegnatore e pittore Veneto, un amante dell’Arte Classica, della Natura, dei Ritratti, dei Personaggi di Vita, che ha lasciato molte opere belle e pertanto, va rivalutato inserendolo tra i migliori artisti veneti.

Alberto Fratantaro  – 2013

 

 

Padre Pittore e figlio filosofo, due personalità complesse e affascinanti che stanno riemergendo dal passato svelando l’eredità culturale della famiglia Mattiuzzi.

           E’ bastata la bella mostra di dipinti di Ernesto Mattiuzzi “Eros e malinconia”, tenuta recentemente alla Galleria dell’Eremo di Rua di Feletto, per suggerire a molti che parte del patrimonio culturale dell’Alta Marca trevigiana è ancora sommerso e misconosciuto, frammentato tra collezioni private, archivi di famiglia e depositi di musei. Ma grazie all’instancabile attività di Mario Mattiuzzi l’eredità del padre pittore e del fratello filosofo sta trovando la strada per svelarsi al territorio. A guardare attentamente la storia di questa famiglia, la condivisione del sapere è una vocazione che emerge periodicamente, in un modo o nell’altro: fu per una cattedra in una scuola locale che Ernesto Mattiuzzi, verso la metà degli anni Quaranta, si trasferì da Venezia a Conegliano. Con lui la moglie Lucia Trillo, di origine padovana, anche lei insegnante e futura centenaria ricordata a lungo e con affetto dagli ex allievi di San Vendemiano e Ogliano. Quasi per destino, il loro primogenito nato nel 1944, Gustavo, diventò uno stimato professore di Lettere al “Marco Fanno”. Arrivarono poi Gianluigi, studioso di matematica, e infine Mario, il più giovane, che scelse la strada del marketing e che quasi cinquant’anni fa iniziò a spendere le proprie competenze professionali per creare un vero e proprio archivio di famiglia che ancora oggi divulga attraverso innumerevoli iniziative, tra mostre d’arte, pubblicazioni e donazioni. Un impegno lungo e costante, partito da un patrimonio disordinato di scritti lasciati da Ernesto e da Gustavo (manoscritti e dattiloscritti sparsi, che lui stesso definisce “pizzini”) e che solo negli ultimi anni hanno trovato la possibilità di pubblicazione esaustiva in raccolte dedicate sia al pittore e critico d’arte (De Bastiani 2019 e 2020) che al filosofo e saggista (De Bastiani 2019). Come spiega Corrado Castellani, curatore della mostra di Rua e da anni impegnato nel recupero critico del pittore,” Ernesto è stato una figura significativa che ha attraversato il Novecento esplorando il terreno del realismo in modalità diverse, confrontandosi con le sue trasformazioni nel corso del secolo, ma sempre rimanendo fedele allo stesso principio di pittura basata sulla forma e sulla bellezza”. Fu infatti un artista di talento formato all’Accademia di Belle Arti di Venezia e entrato poi a far parte di quegli ambienti, tra la Biennale e Ca’ Pesaro, in cui si guardava alle novità che arrivavano da fuori i confini italiani per rinfrescare il linguaggio della pittura veneta. E nelle opere di Ernesto si trova infatti quella carrellata di immagini comuni alla pittura più interessante del primo novecento in Veneto: Venezia rarefatta e quasi spettrale, ambienti e personaggi dei quartieri popolari descritti con lo sguardo impietoso e cinico dei realisti tedeschi, paesaggi sintetici alla maniera dei neoimpressionisti francesi, ma anche nudi di ispirazione classica e autoritratti surreali e decadenti. Solo che Ernesto, nato nel 1900, era uno dei più giovani realisti tra le due guerre, così, passato anche il secondo conflitto mondiale, si trovò quasi da solo a difendere un’idea di arte a cui non voleva rinunciare ma che velocemente era diventata fuori tempo massimo. Da Conegliano che era ormai la sua casa, “ma con la testa che tornava sempre a Venezia”, come ricorda il figlio Mario, Ernesto si lanciò in un’intensa attività di critico in cui si scagliava contro le nuove avanguardie astratte che andavano per la maggiore alla Biennale, denunciando le intromissioni della politica in un’istituzione che veniva velocemente sottratta agli artisti e data in mano a “burocrati e tecnocrati”. Per la fermezza e la coerenza delle sue posizioni doveva quasi sembrare un Hiiro Onoda locale, un “ultimo giapponese” che rifiuta la resa e continua da solo a combattere una guerra in un mondo che sta andando avanti, ma questa battaglia va vista anche sullo sfondo di un’Italia che cambiava sulle spinte delle opposte influenze culturali dell’America che esportava l’avanguardia astratta e l’arte Pop e dell’Urss che viceversa sosteneva orgogliosamente il realismo socialista. Un contesto questo che rende le parole di Ernesto una preziosa testimonianza di quel periodo da un punto di vista differente da quelli a cui siamo solitamente abituati. Il figlio Gustavo, nato e cresciuto nella provincia che stava così stretta al padre, fu invece una figura atipica di studioso che produceva scritti soprattutto a scopo personale: si interessò assiduamente al dibattito filosofico contemporaneo, partecipò in forma marginale attraverso un numero limitato di recensioni su riviste specializzate, ma sostanzialmente non si adoperò mai per pubblicare la maggior parte della sua produzione di cui era però piuttosto prolifico. “Nessuno conosce tutto quello che ho scritto, in centinaia, migliaia di fogli sparsi” – confessava Gustavo negli stessi fogli – Io desidero solo che dopo la mia morte almeno si conservino tutti questi insignificanti fogli e solo dopo averli letti e valutati, si decida di buttarli nel bidone della spazzatura”. Andò solo in parte in questo modo: dopo la morte, avvenuta improvvisamente nel novembre del 2016, Mario, che in vita lo aveva spesso incoraggiato alla pubblicazione, acquisì tutti quegli scritti buttati giù in un flussò di coscienza e decise di ordinarli per pubblicarli in raccolte che tentavano di definire e rendere giustizia a un intellettuale che pareva trovare soddisfazione principalmente nel dialogo con se stesso, pur avendo posizioni ben definite. “Gustavo non era un solitario come può sembrare dalla sua attività di studioso – racconta Mario – anzi, aveva una vita sociale ricca, frequentava gruppi di amici, tra cui professori, con cui si ritrovava al bar, e l’affetto sincero che provava per queste persone è testimoniato dai necrologi molto sentiti che scrisse quando mancarono. Lui semplicemente non dava importanza all’idea di pubblicare i suoi scritti, gli andavano bene così come li aveva buttati giù”. Due testimoniane così differenti del loro tempo, entrambe a loro modo volutamente ai margini, ma coerenti a se stesse e ferme e che proprio per questo non hanno avuto fino ad ora l’attenzione meritata.

Fabio Zanchetta – Maggio  2023

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