Ernesto Mattiuzzi  (1900 – 1980)

Ernesto Mattiuzzi nacque a Venezia nel 1900 e frequentò l’Accademia di Belle Arti della città lagunare, dove nel 1919 si diplomò nel corso speciale di Disegno di Figura. Gli anni Venti segnano l’avvio della sua carriera espositiva. Nel 1923 è presente alla quattordicesima collettiva della Bevilacqua La Masa (parteciperà anche a quella del 1924 e alle successive dal 1926 al 1930) e nel 1924 alla Biennale di Venezia, dove interverrà fino al 1936, ma non in modo continuativo. La Biennale in cui esordì è quella che vide Oppi, Casorati e Valeri esporre individualmente e i Sei pittori del ‘900, presentati da Margherita Sarfatti, avere una sala tutta dedicata. Mattiuzzi fu tra gli artisti ammessi dalla giuria e nella Mostra degli acquerelli si presentò con una Natura morta raffigurante delle zucche e una treccia di cipolle, qui esposta. Nel dopoguerra i rapporti con la Biennale si guastarono ed egli diede vita a una lunga controversia con la conduzione dell’ente espositivo, denunciando la parzialità delle scelte delle giurie e dei commissari, il mancato riconoscimento del merito, l’inadeguatezza dell’organizzazione ecc. Sono molto numerosi i suoi scritti polemici nei confronti della Biennale; è frutto di questo clima la proposta di creare un Salone Italiano di Artisti Indipendenti senza giurie e premi. Anche attraverso l’attività del Sindacato Internazionale di Arte Pura, fondato da Domenico Maggiore e di cui lo stesso Mattiuzzi fu vicepresidente, Ernesto si batté per un progetto di riforma della Biennale. Nel frattempo, nel dicembre del 1940 si era sposato a Padova con Lucia Trillo, da cui ebbe tre figli, Gian Luigi, Gustavo e Mario. Visse con la famiglia a Conegliano, dove morì nel 1980. Mattiuzzi sosteneva che nessuna forma d’arte che prescinda dalla natura è valida; era critico verso l’astrattismo, chiamava “assassini dell’arte” i pittori nucleari, definiva “buffonate” le proposte della pop art e “scemenze” le invenzioni dell’arte cinetica e programmata. In sostanza, quello di Mattiuzzi è stato un percorso solitario e appartato proprio perché per tutta la vita egli è rimasto fedele all’idea della pittura come intima interpretazione della realtà. Oltre alla pittura, si dedicò all’insegnamento e alla critica d’arte collaborando con giornali e riviste come per esempio il “Corriere degli Artisti” di Milano poi divenuto “Il nuovo Corriere degli Artisti”. In mostra è esposto un disegno con il ritratto di Andrea Busetto – direttore del “Corriere degli Artisti” – tratto da una fotografia.

 

 

La mostra offre una selezione di dipinti e di disegni di Mattiuzzi che coprono un periodo che va dagli anni Venti agli anni Settanta. Essi provengono dalla collezione del figlio Mario, che nel corso del tempo ha custodito con cura le opere del padre. A questi pezzi si aggiungono quattro dipinti conservati presso il Museo d’Arte di Padova e donati dallo stesso Mario Mattiuzzi: Scuola di nudo nel 1985, in occasione dell’antologica tenutasi a Padova nella Galleria Civica di piazza Cavour, mentre gli altri tre nel 2018. L’esposizione si apre con una serie di autoritratti, in alcuni dei quali il pittore si rappresenta circondato dalle sue opere e dagli strumenti di lavoro come la tavolozza, la cassetta dei colori e i pennelli. A dimostrare l’importanza che egli dava al disegno, in un dipinto si raffigura esibendo sul tavolo in primo piano la cartella in cui sono raccolti i suoi disegni. In un’altra opera, dal sapore simbolista, si rappresenta fra un gatto nero e la Morte coronata di alloro a prefigurare la gloria che lo accompagnerà. Seguono alcuni ritratti esemplificativi di un percorso che va dal giovanile ritratto della madre, austero nel taglio e nella descrizione, al Ritratto di gentildonna (La dama in giallo}, emblematico del classicismo di Mattiuzzi, come si può vedere dalla composizione sapientemente calibrata e dal raffinato colorismo del soprabito con riflessi luminosi. Mattiuzzi praticò anche il tema del nudo femminile e maschile. Il dipinto conservato nel Museo padovano mostra un nudo maschile disteso e colto di spalle che sembra ambientato in un improvvisato atelier. Dal titolo – Scuola di nudo – si evince che si tratta di un’esercitazione, la copia dal vero della figura umana: ciò giustifica l’accademismo con cui viene trattata la posa. Non mancano le cosiddette scene di genere, che ben riflettono il realismo figurativo scelto dal pittore come la via più rispondente al suo profondo amore per la natura e per le piccole cose della vita quotidiana. Per Mattiuzzi il realismo non è “la riproduzione meccanica e scientificamente obiettiva del vero, che non ha in sé alcuna espressione, ma la ricreazione fattane dall’artista in modo personale e soggettivo”. Mattiuzzi raffigura anche vecchi mestieri, vivi nella pittura veneta, come per esempio quelli dei lavoratori dei campi e dei venditori ambulanti. Il suo realismo si fa carico delle disarmonie e delle inquietudini della realtà quotidiana, ma in modo pacato. Nei dipinti legati a problematiche sociali sono assenti la denuncia e il riferimento politico: lo si può osservare nell’opera intitolata il comizio del 1948 dove non si coglie alcuna tensione. La natura morta è un soggetto congeniale a Mattiuzzi sin dagli esordi; qui egli esprime tutte le sue qualità virtuosistiche. Si vedano, per esempio, i lavori giovanili come L’anguilla del 1922 e la citata Natura morta del 1923 che rivelano una sostanza costruttiva tanto più notevole se si tiene conto che sono realizzati con la tecnica dell’acquerello. Infine, per quanto riguarda vedute e paesaggi, si va da Venezia. Il molo dalle colonne della Punta della Dogana del 1929 fino alla Casa colonica a Pozza/e di Cadore del 1962 passando per Tristezza invernale e Verso sera, dove si coglie un senso plastico della pittura.

Elisabetta Gastaldi

(Testo tratto dalla presentazione del catalogo monografico sull’opera dell’artista Ernesto Mattiuzzi, tenuta dalla dott. Elisabetta Gastaldi in occasione della Mostra Antologica retrospettiva organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova svoltasi in Maggio 2021 presso il Palazzo Zuckermann di Padova)

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