Gustavo Mattiuzzi  (1944 – 2016)

Letteratura

Alcune riflessioni sul volume “J. Keats – Lettere sulla poesia”

      Questo volume è stato per me una autentica rivelazione. Pochissimi poeti hanno sentito il bisogno di fare poesia come  K. – Che cosa intendo dire quando affermo che K. è il poeta per antonomasia?- niente altro che K.  è vissuto con la massima intensità dedicandosi interamente alla Poesia. La sua scelta, segnata dal carisma straordinario della vocazione ingenita, ha portato il linguaggio della poesia allo stato massimo di purezza assoluta. (si veda altresì le sue reazioni nei confronti della situazione sentimentale). Nella storia della letteratura europea (e non soltanto) raramente è dato incontrare un esempio così puro come avviene con Keats. La sua breve ma intensissima esistenza (morto ventiseienne) rappresenta un processo quotidiano di purificazione teso costantemente al raggiungimento della essenzialità di linguaggio. Non c’é nulla, dell’esperienza di K., che non sia filtrato da questa coscienza rigorosa e tenace. L’aver identificato esistenza e poesia in una perfetta unità vivente, è ciò che stupisce in K. E questa raccolta delle lettere ne è una testimonianza significativa. Tu non puoi scorrere un solo rigo senza imbatterti in questa incessante riflessione intorno alla poesia, vista come un fenomeno estremamente complesso, quasi sovrumano, accessibile soltanto a coloro ( e sono pochissimi) che sono stati scelti da un dio. Specie se si tratta di un poeta come K. in cui il fare poesia era di continuo illuminato da una ragione poetica, non di certo astratta ed arida, bensì vivificata dalla concreta poiesi. Questa raccolta di lettere non è utile per ricostruire la biografia dell’AUTORE, quanto per seguire da vicino il processo di formazione di un poeta. A K. non interessava niente altro che esprimere questo suo farsi poeta, al di sopra di ogni altro presupposto. Sua e la seguente dichiarazione: “non riesco a vivere senza la. Poesia, senza la poesia eterna”(pag.50°). Identificazione perfetta tra poesia ed esistenza. “mi sono chiesto tante volte perché mai, io tra tanti uomini, dovrei essere un poeta, pensando che cosa grande è essere un poeta, che grandi cose un poeta può compiere” (54). Nessuna confessione avrebbe potuto esprimere in tal misura una adesione così completa all’impegno creativo…. La forza della poesia si manifesta attraverso la capacità di invenzione e di immaginazione. “inoltre un poema lungo mette calla, prova I’invenzione che secondo me è la stella polare della Poesia” (67). L’invenzione è lo spazio sempre aperto per il poeta, e in esso si coniugano perfettamente bellezza e verità. “ciò che l’immaginazione  coglie come bellezza deve essere verità, che esistesse prima o no, per­ché ho delle passioni la stessa idea che ho dell’amore: che cono tutte, al massimo della loro intensità, creatrici di bellezza pura” (70). Un poeta privo di passioni non è concepibile, anzi il poeta deve raggiungere il massimo della intensità senza tuttavia privarsi della capacità di contemplare l’assoluto: “L’eccellen­za dell’arte consiste nell’intensità che sa dissolvere ogni sgradevolezza alla Bellezza e alla verità” (74).La poesia deve tendere alla verità non meno che alla bellezza, purificando nel suo interno tutto ciò che è sconveniente: “Cre­do che la poesia dovrebbe sorprendere per un bell’eccesso e non perché singolare dovrebbe colpire il lettore come l’enunciazione più. perfetta dei suoi più alti pensieri…. la Bellezza non dovrebbe essere solo tratteggiata, lasciando così il lettore col fiato sospeso invece che soddisfatto: il sorgere, il progredire, il de­clinare delle immagini dovrebbe apparire al lettore naturale come il sole”….”se la poesia non viene così naturale come le foglie all’albero è meglio che non venga affatto” (85 e segg. ). Viene qui sottolineata la naturalità della poesia, la quale non è arte se non alla condizione che sia nello stesso tempo Natura. Il poeta produce con la stessa fecondità spontanea, sorgiva, della Natura,e il suo linguaggio si scioglie ritmicamente come il periodico e misterioso avvicendarsi degli eventi naturali. Tale processo non sempre si svilupperà secondo un disegno sicuro ma riuscirà a costruire indeterminatamente lo stesso farsi discontinuo della na­tura. Del resto K. stesso avverte che “odio la poesia che ha un disegno palpabile (80) – Da una condizione psicologica straordinaria, la poesia scaturisce in modo ordinario­, riproducendo mimeticamente il Nascosto. Il poeta non può vantare di trovarsi in una situazione del tutto chiara: dalla lucentezza non si genera mai il linguaggio della poesia, “solo nella nebbia, sentiamo il peso del mistero” (l06) – Quando mai la poesia ha sprigionato una luce mimetica? – K. sente profondamente che il poeta è una specie di albatros (v. testo di Beaudelaire)  costretto a muovere le sue ali sulla terra, ma animato potentemente dal desiderio dì elevarsi.

      Se è vero che K. “radicalizza tutti i problemi” (118), K. in quanto poeta va alla radice del problema, ossia non intende smentire la propria propensione assoluta per la poesia. Riscoprire in se stesso la sorgente della poesia, richiede necessariamente collocarsi al di là del bene e del male, essendo la Poesia pura, innocente, voce divina, “Sono sempre più convinto che il fare poesia dopo il fare il bene è la co­sa più importante che c’è al mondo, e il paradiso perduto è per ne sempre di più un miracolo” (185). La poesia ritorna al passato ed è memoria dell’assoluto. Essa si eleva al di sopra della stessa moralità, in quanto il poeta, è originariamente inno­cente; egli non può essere esposto alla possibilità dualistica tra bene e male…… Se la poesia è contemplazione intensificata della Bellezza, essa non può che trovarsi nell’universo della Verità. “il linguaggio della poesia, che l’immaginazione, parlando trova in generale, trova piacere nel potere, nell’eccitazione forte, altret­tanto che nella verità, nel Bene, nel Giusto, mentre la ragione pura e il senso mo­rale apprezzano soltanto il “bene e il vero.” (pag.145). Ciò che resta indeterminato per la ragione, si definisce stupendamente con la poesia, la quale genera immediatamente il valore,  assecondando l’arte con la natura. La ragione si manifesta attraverso l’imposizione di regole, la poesia è essa stessa regola. Il sentire riporta il poeta all’origine stessa della creazione, quindi restituisce una condizione naturale all’uomo, e lo rende esemplare. La poesia è salvezza spirituale, la ragione con tutte le sue regole introduce un artificio che opprime: “II genio della poesia de­ve giungere da solo alla propria salvezza, in un uomo: le regole o i precetti non servono a farlo maturo, soltanto il sentire lo può, insieme a una attenzione vigile” (pag.126). La poesia è, secondo K., la via della salvezza, e l’uomo deve sentire in essa e per essa tutto ciò che gli è necessario per ottenerla. Il mondo umano è troppo imperfetto, banale, indeterminato per suscitare una qualsivoglia fede. La poesia completa quanto è lasciato incompiuto dalla creazione. E’ assurdo riporre fiducia nella perfettibilità naturale dell’uomo, tanto l’uomo è, nella sua condotta, im­perfetto. “Io non credo affatto a questa specie di perfettibilità. La natura del mondo sembra. escluderla, e i suoi abitanti anche “( 157 ) – E il poeta stesso è pienamente persuaso di questa incompiutezza del mondo, se è vero che l’arte sua “la prima delle arti”, tende a colmare il vuoto………

      K. incarna un’esperienza veramente eccezionale, insolita, unica nel suo genere. Non occorre classificarlo storicamente nella schiera dei romantici, né attribuirgli un posto tra i classici con sensibilità romantica. K. è prototipo dell’urgenza assoluta della Poesia, intesa come necessità originariamente sentita dall’uomo, onde at­tingere quell’assoluto che di continuo sfugge. Nadia Fusini, nella sua penetrantissima introduzione, avvalendosi dei migliori strumenti ermeneutici, riesce a sviscerare l’anima segreta della poesia k. attraverso una attenta analisi dei temi più intensamente  emergenti della poesia di K. Utilizzando egregiamente il parallelo K-Holderlin, la Fucini scopre il gioco psicologico mediante il quale la poesia di K. riesce a toccare vertici assoluti. Scandendo tutta, la sua introduzione in brevissimi e succosi  paragrafetti, la curatrice ti permette di seguire l’intero processo evolutivo della poesia k. Non tanto per l’appendice-saggio di Prete, un vero guaz­zabuglio di tentativi, quanto per questa introduzione, il lettore è in grado di afferrare il cuore pulsante di questa poesia che si costruisce lentamente in ba­se ad una trasfigurazione essenziale e potente. La Fusini non illumina tanto il contenuto estetico-filosofico di queste lettere, quanto piuttosto, leggendo ossessivamente le lettere, ti aiuta ad entrare nell’universo poetico dell’autore. Chè K. richiede, proprio per la sua passionalità sublimata, una lettura immedesimata, con la quale si riesce a cogliere centralmente l’essenza stessa della poesia. La sua biografia, quale è filtrata dalle presenti lettere, è la storia interiore di un uomo che ha scelto la poesia come ragione unica della sua esistenza. Autonomia che viene delimitata autorevolmente da una severa consapevolezza critica. Non si tratta tanto di un consueto epistolario, quanto di una continuata riflessione intorno al fenomeno della poesia, confrontata acutamente con la varietà emotiva delle si­tuazioni non per se stesse poetiche. Anche in quei passi dove K. parla di tutt’altro, sì intuisce direttamente che il suo pensiero corre pur sempre alla poesia, e che ogni altra evenienza ha il suo senso soltanto se rapportata alla poesia. K. stesso ci avverte che la poesia è la sua unica passione.

       Donde questa costanza in K. nel riproporre la questione centrale sulla poesia? – Come per Holderli, anche per K. la Poesia è interrogativo finale; decaduta la bellez­za con la fuga degli dei, anche la verità si è rarefatta. E’ compito della poesia riprendere quanto è perduto, appellandosi alla Natura e plasmando l’arte. Da cui il valore religioso ( l’unica espressione autentica di religiosità cui. si contrappone la religione fatta di miti, dogmi etc.), in quanto anima, spirito, della poesia, dal quale sgorga spontaneamente la voce profonda, pur attraverso una rete intricatissima di eventi secondari. Può essere che la poesia sia a volte impalpabile, troppo eterea per costituire una sintonia spirituale. Lo stesso K. in una sua lettera dichiara che. “a volte sono cosi scettico che penso che la poesia sia, un fuoco fatuo fatto per divertire chiunque rimanga abbagliato  dal suo incendio” (pag.89) – Ma è questa una pura avvertenza, poiché la persuasione poetica lo porta ben al di sopra di questo pericolo. La poesia è linguaggio dell’Assoluto nel momento straordinario della sua Assenza (vedi primissimi paragrafi della introduzione della Fusini). La poesia tendendo intensamente all’assoluto, diviene linguaggio dell’impossibilità. Ma è proprio perché impossibile, che la poesia può farsi e svilupparsi. K. e Holderlin non lamen­tano la perdita, ma te la fanno invocare, da qui il carattere religioso di questo loro stranissimo classicismo, che finisce per presentarsi come immagine che trattiene l’angoscia, la sublima e la trasforma in linguaggio. La stessa condizione di disinteresse o di indolenza, sulla quale la Fusini  scrive pagine illuminanti, è indissociabile da una poesia che vuole essere affermazione all’interno di un mondo che è il regno della negazione. Scrive K.: “quando un uomo è capace di essere nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio senza l’impazienza di correre dietro ai fatti e al­la ragione” (pag.75 e K. cita per l’appunto il caso di Shakspeare), ossia quando un uomo si coglie misteriosamente nella nebbia, è in questo preciso momento che sente in se stesso la forza della poesia. La pienezza non è di certo la condizione per il poeta: “il massimo a cui l’uomo può arrivare è tanto lontano dalla Felicità, quanto lo stato parallelo nella natura inanimata e non oltre” (pag. 157) – Il poeta, sa per esperienza che la soddisfazione è impoetica (non altro senso possiamo attribuire alla celebre affermazione k. che il poeta è l’unico essere im-poetico! ) che non esistono per lui né certezze, né pienezza. Il poeta riconosce che la sua forza sta nell’imperfezione originaria, nell’atto mancante dell’esistenza. E difatti, mai come nei momenti in cui K. cominciò a soffrire fisicamente, si delinearono le condizioni più vere per il farsi della poesia. E non tanto per la vicenda di un amore impossibile, quanto per la rivelazione che segui al sentirsi e all’essere malato. Si leg­gano questi passi: “E’ sorprendente (qui devo premettere che la malattia, per quanto posso giudicare, mi ha in breve tempo come alleviato la Mente da un carico di pensieri e di immagini ingannevoli e mi fa percepire le cose in una luce più ve-ra) é sorprendente, ma l’idea di lasciare questo mondo rende più profondo in noi il senso delle sue bellezze naturali”(pag.196). La poesia nasce autentica da una sottrazione della vita, biologica, animale, e tocca il suo acme soltanto quando lo spirito si sente più alleviato dal superfluo. La tisi che di lì a poco porterà alla tomba Keats, era simbolicamente presente già prima; essa si è manifestata proprio nell’istante in cui K. ha deciso di sublimare ogni altra passione, per tendere con uno slancio pacato e naturalissimo, verso un fine. che è posto al di sopra del vivere quotidiano. La malattia porta con sé l’impotenza fisica, ma permette allo spirito di completare il suo corso. E’ il caso di Keats, il quale ha maturato la sua disposizione, purificandola da ogni scoria superflua.         L’identificazione me­desima tra Bellezza e verità rappresenta una condanna del mondo per quanto di imperfetto esso contiene. Ne è una prova quella sua rassegnazione suprema di fronte alla certezza del suo morire: avendo toccato il massimo, ogni altro risentimento scompare. Preferisce abbandonarsi a quella indolenza che è la condizione concentra­ta donde si sprigiona serenamente la voce della Poesia. Fatta tacere la passione che disturba, qualsiasi circostanza diviene per lui occasione di illuminazione straordinaria. K., in queste sue lettere, lo testimonia scrupolosamente. I suoi destinatari sono un alter ego, a favore dei quali il monologo si arricchisce…..

Gustavo Mattiuzzi  18  Aprile  1984

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