Ernesto Mattiuzzi  (1900 – 1980)

     Pur in tempi cosi contradditori ed avversi alle sue legittime e pure aspirazioni, con grande forza d’animo e linearità di carattere, egli ha perseverato – con piena coscienza critica ed artistica – sino alla fine sulla via di quel realismo figurativo che fin da principio aveva scelto, come la via più rispondente al suo profondo amore per la natura e per le piccole cose della vita quotidiana. La sua ricca, seppure contrastata personalità, ha trovato nell’esercizio costante dell’arte quell’equilibrio, quella simpatia affettuosa che rappresentano, forse, le note più significative della sua pittura. Non possiamo dimenticare, in questo momento, che nella sua attività più che trentennale di insegnante, ha saputo infondere nei giovani un grande amore per la pittura e per il disegno, seguendo alla lettera quel principio che egli soleva ripetere, secondo il quale,come l’insegnamento è nella sua essenza comunicazione, cosi deve essere l’arte, senza possibilità di equivoco o di simulazione, con grande onestà. In questo catalogo è raccolta una minima parte della sua vasta produzione di artista e di critico, ma pur nella sua essenzialità, esso è più che sufficiente per far comprendere che senza sforzo e tormento non è possibile all’artista sapersi rinnovare interiormente (ché arte è pur sempre catarsi) ossia di rendere, di fronte alle cose e agli eventi, l’occhio fisico e l’occhio spirituale sempre più capaci di vedere, sempre più pazienti ed acuti nel vagliare e nel riprodurre con genuina e semplice forza pittorica. 

Gustavo Mattiuzzi – 1983

L’acquerello: questa particolare tecnica è universalmente apprezzata e giu­dicata come una delle più complesse. Moltissimi si sono cimentati con essa, ma con risultati pedestri, banali, elementari…. Ebbene se c’è una tecnica che mie padre ha saputo usare con somma maestria e profonda sensibilità, questa è pro­prio l’ acquerello. Più mi succede di vederne esposti in alcune mostre, è più apprezzo quelli di mio padre. L’ acquerello non può indulgere in stacchi repentini, anzi gioca sul lento trapasso di sfumature digradanti….. Gli acquerelli di mio padre, purtroppo pochissimi, sono cosi sapientemente trattati, che sembra­no addirittura scambiarsi con pitture ad olio, tanta e tale è la morbidezza la leggerezza con cui il colore s’intrattiene dolcemente……

L’acquerello è una tecnica per mano lievi e per occhi inclini alla sfumatura.  Purtroppo quante mano rozze vi si cimentano ! – C’è chi ritiene – erroneamente – che l’acquerello sia una tecnica elementare volta a soggetti altrettanto elementari !  Altro errore madornale ! – E’ evidente che chi è elementare non può che trattare in modo elementare una tecnica che non è tale.

Un temperamento cosi determinato come quello di mio padre, una reattività co­sì accentuata come la sua, trovavano in questa tecnica un momento di riposo…. Quale morbidezza, che non è soltanto il risultato di una sapienza tecnica, ma effusione di delicato sentire…..

Peccato che mio padre non abbia più ripreso, nella sua maturità, questa tecnica

Non gli ho mai chiesto il perché. Posso soltanto immaginarlo……

Questa tecnica soddisfa principalmente il gusto per le sfumature. Mio padre non era insensibile a questo …..

L’acquerello gli conferisce una sorta di movimento che solitamente non ha. Un tocco impressionistico che fa giocare meglio la luce e rende più eloquente l’uso del colore …..

E’ un errore congetturare che l’acquerello soddisfi soltanto delle esigen­ze tecniche, ovvero, che esso sia soltanto una tecnica. Il fatto che molti credano di saperlo usare, dando dei risultati ridicoli e pessimi, dimostra tutto il contrario. L’acquerello è meno intenso dell’olio, indubbiamente, ma non meno espressivo dal punto di vista strettamente pittorico…

Non temo di definire mio padre un Maestro di acquerello. Mi dispiace soltanto che le prove siano poche, tuttavia più che sufficienti a far pensare che, se avesse continuato, avrebbe offerto altre prove di indubbio  valore….

Quando penso agli acquerelli di Primo Moretti (un esempio per molti) un pit­tore coneglianese, anziano, e che passa per una specie di autorità in questo settore, e guardo agli acquerelli di mio padre, mi si affaccia immediatamente l’idea che a questo mondo, e soprattutto nell’epoca nostra, occorre saper ven­dere la propria merce, tanto il gusto è depravato, tanto le leggi del mercato e la disonestà commerciale hanno preso piede.

Mio padre aveva delle potenzialità che moltissimi altri pittori assai noti non posseggono. Gli è mancato il coraggio di confondersi, di agire, di con­trattare, di lasciarsi suggestionare etc. Il suo isolamento (riflesso di un temperamento fondamentalmente solitario) lo ha strappato ad ogni vitale circolazione.

II nudo femminile: nulla impedisce il pittore di entusiasmarsi di fronte alla bellezza di un corpo di donna ! – In ogni secolo la pittura ha espresso questo entusiasmo, addirittura questo piacere di sentire, di godere pittoricamente del calore e della armoniosità di un corpo femminile. L’archetipo dello eterno femminino resta incentrato nel desiderio e nella immaginazione dell’uomo. Il pittore non fa certamente eccezione. Mio padre ha sempre sentito il bisogno dì ritrarre la bellezza di questo corpo, e meglio l’ha ritratta quando egli stesso non si imponeva di farlo, oppure qualora non era vittima di una pervicace ed ossessiva persuasione dovuta ad una persona estranea (ad esempio, un critico).

Da quando un critico ebbe la malaugurata idea di suggerire a mio padre di continuare nel soggetto di nudo femminile, potei assistere ad un raffreddamento del suo stile, ad una odiosa stereotipia di forma, ad un accademismo privo com­pletamente di anima. Mio padre non avrebbe mai dovuto dipingere sotto l’impulso estraneo, quasi nella forma di una commissione, bensì sempre per sua scelta dato il suo indomabile individualismo….

Tuttavia ci sono alcuni nudi di donna che non scambierei con nessun altro. Non perché taluni nudi dipinti da grandissimi pittori non mi piacciano, ma perché i nudi di mio padre hanno qualcosa che li individuano. L’incarnato così soffuso, delicato, morbido, sia nella stesura del colore che negli effetti di
chiaroscuro, inseriti in un ambiente del tutto domestico, semplicemente addobbato, ma non privo di una sua dignità, disposti, è vero, in una posa, ma che non sempre è rigidamente fissata. Si nota come a mio padre interessasse di più la forma contemplata del nudo femminile, che non il corpo di donna, di cui go­dere sessualmente. Un alone idealizzante, che soltanto in queste condizioni, riesce ad esprimere pienamente una delicata aura di spiritualismo…..

Quando la posa diviene studiata nella sua statuaerietà, allora il corpo femmi­nile si irrigidisce, diviene puramente oggetto estraniato, con la conseguenza di un esito di freddezza, sia formale che cromatica…Mio padre doveva sentir il fascino spirituale della carne femminile, perché potesse esprimere nel mi­gliore dei modi….

Certi nudi sono in un certo qual modo sacralizzati: tu li contempli, ma sai che non potrai mai abusarne sessualmente. Sembra che mio padre abbia sublimato la sessualità, senza tuttavia dimenticarsi della radice naturale della sessualità.  Si percepisce una certa distanza tra il corpo femminile e l’occhio che spia (così era mio padre) in un gioco di desiderio e di rinuncia….

L’introversione di mio padre si coglie nello stadio di un desiderio trattenuto: sì legge,vedendo i suoi nudi meglio riusciti, che la passione abortita è diventata contemplazione. Gli stessi volti di queste donne ritratte nude non lasciano mai trapelare un invito. O esse sono paglie della loro nudità invio­lata, oppure sembrano dimenticarsene del tutto….

Mio padre ha insistito troppo nel ritrarre nudi; per questo è caduto in un banale manierismo di scuola. Alcuni, tuttavia, a mio parere, sono degli auten­tici capolavori. Ed è ciò che basta….

Un conto è sentire la femminilità conturbante di un corpo di donna, un altro conto è continuare a ritrarlo soltanto per un compiacimento che rinvia ad un motivo estraneo alla sensibilità del pittore.

II paesaggio: dai molti paesaggi dipinti da mio padre, deduco un’altra passione, quella per la natura. La multiformità dei soggetti da lui prescelti, può es­sere scambiata per virtuosismo. Non è così. Che mio padre volesse cimentarsi con più soggetti, questo è vero. Mai, tuttavia, egli ha trattato un soggetto maldestramente o senza sentire qualcosa per esso. (ciò non toglie che alcune ope­re non siano riuscite!). Il paesaggio soddisfava certamente il suo bisogno di luce, di colore, di aria aperta (en plein air), tanto più che per temperamento egli tendeva ad essere introverso, chiuso etc. L’immaginazione non gli avrebbe assicurato la disponibilità per questi valori, tant’è che dove egli si affidava a proprie immagini, diventava freddo, insincero etc. La natura era, per la sua anima, una vera e propria fonte di immagini, di sensazioni, di percezioni etc…..

Posso affermare tranquillamente che mio padre applicò con estrema semplicità il principio dell’imitazione  deIla  natura, principi, v’è da aggiungere, che rap­presenta un vero e proprio ostacolo per l’estetica contemporanea, che ha snob­bato totalmente la natura, ritenendola superflua per l’arte, sostituendola com­pletamente con la pura soggettività ermeticamente chiusa in se stessa……

Oggi chi tenta di ritrarre la natura nel paesaggio viene considerato poco più che un dilettante, o comunque un ozioso. Si preferisce chi è contorto, perché la contorsione da l’impressione della sofferenza. Il paesaggista passa per uno che non ha problemi, e questo è uno scandalo per un’epoca così problematica….

L’intero campo che è stato occupato dalla fotografia, è tabù per l’arte contem­poranea. E’ preferibile che l’artista esprima i propri fantasmi interiori, le proprie angosce (e che dire di quell’artista così preso dall’angoscia…. che mostra estrema cura nel seguire i propri affari mercanteschi? – L’angoscia non va mercanteggiata, ma è soltanto un sintomo della solitudine) piuttosto che si culli nell’immagine serena della natura….

 

Eppure, per quanto la storia abbia seguito in questo secolo un corso tragico, l’uomo non cessa di essere un ente naturale; ne deriva che un artista che con­tinui ad amare la natura e a decidere per il paesaggio, non può essere tacciato di chissà quale gravissima colpa. Anzi si avverte un bisogno, da parte dell’uomo di riprendere il legame perduto con la natura, quasi fosse nauseato di una in­digestione di angoscia, di tragedia etc….

Chi ha mai detto che l’arte debba necessariamente esprimere l’angoscia, il di­sordine, il caos etc.? – anche nell’inferno si sente il bisogno di pace, di armonia, di riconciliazione….

La ritrattistica di mio padre:  per quanto la scienza fotografica abbia con­tribuito a soppiantare questo soggetto pittorico, esso rimane pur sempre al centro dell’arte figurativa. Un intenso ritratto rivela niente meno che un universo, nel quale i valori pittorici divengono mediatori di valori umani. Quel pittore che abbandona totalmente questo soggetto, si è già posto al di fuori della comprensione umana. Un volto è rivelatore di un’anima e tale requisito non può essere dimenticato dall’artista. Indubbiamente l’arte e la tecnologia fotografica hanno recuperato la realtà fisiognomica entro un ambito di per se stesso artistico, ma un volto fotografato non esprime nella stessa misura quanto invece esprime un volto ritratto pittoricamente…..

Mio padre non ha dipinto molti autoritratti, né ritratti; ma quei pochi sono sufficienti per rivelare una sua intensa passione per tutto ciò che è umano. Egli è riuscito a sublimare il proprio narcisismo in incisività espressiva. Se guardo certi suoi autoritratti, ciò che mi colpisce è la profondità del sentimento complessivo,  rafforzato da una severa autodisciplina morale e pro­fessionale. Tale effetto è più debole nei ritratti, quasi che mio padre, difronte al soggetto umano, volesse stabilire un confronto soltanto con se stesso.  L’altro gli sfugge nella sua alterità….

Mio padre credeva troppo all’essenza naturale dell’uomo, perché potesse in­ventare un uomo inesistente. Non credo che questo costituisca un limite. L’ac­cusa che gli è stata mossa di mancare di fantasia dovrebbe essere pienamente giustificata dall’apparente fantasia che molti altri pittori dimostrano, e la cui ragione pittorica ed emotiva è soltanto quella di voler essere a tutti costi quello che non sono…..

Preferisco un pittore che ricava dalla natura ciò che gli basta per potersi esprimere, piuttosto che colui che sprezzantemente volta le spalle alla natura. In quest’ultimo caso è più frequente la disonestà, la falsità, la simulazione, il voler strafare e apparire originali ad ogni costo……

Nel mio appartamento c’è un disegno che ritrae un volto straordinariamente intenso di una donna, il cui passato deve essere stato segnato dalla tragedia più cupa. Non scambierei questo disegno con nessun’altro disegno, neppure se la firma apposta mi assicurasse, per legge di mercato, parecchi soldi. Ogni qual volta mì soffermo a fissare quel volto, mi sento conturbato nel profondo, sen­to in tutta la sua portata la centralità sofferente dell’umanità percossa emarginata etc…..

Siccome credo nell’uomo, nonostante il mio solido scetticismo, amo il ritratto e l’autoritratto. Che cosa esprimono, mi chiedo, tantissimi autoritratti o ri­tratti, anche di Maestri celebratissimi, se non vuotezza di significato umano ed artistico? – Il voler essere a tutti i costi contemporaneo, mistificando la propria immagine e spacciandola per chissà quale enigmatico significato! ….

Non è auspicabile che l’uomo decida di non vedere più se stesso, oppure che si accontenti dell’immagine che gli restituisce la fotografia. Per questo credo sia ancora indispensabile il ritratto e l’autoritratto. Misurarsi, attraverso una concentrata attenzione, con la propria immagine, e potentemente esprimere l’anima di questa immagine, secondo i propri desideri, aspirazione etc, nel ritratto o autoritratto, è un bisogno innanzitutto biologico, che l’arte ha il compito di far suo.

Ritratto ed autoritratto sono le strade che ti conducono al centro di una anima.

Sulla pittura del papà: la natura morta. Ricordo, dalle molte conversazioni avu­te con mio padre, quanto egli amasse la natura, morta. Da molti questo genere è sovente disprezzato o comunque non desiderato. Sembra che la stessa storia dell’arte abbia dato ad esso poco spazio e che, se ha parlato un po’ più a lun­go, lo ha fatto soltanto per soggetti di nature morte dipinte da grandissimi pittori. L’aggettivo “morta” sembra aver concentrato questa indifferenza. Og­gi, in particolare, in cui l’oggetto è sostituito ipertroficamente dal soggetto

E’ insita nella natura morta la tentazione o il rischio di adeguarsi troppo all’oggetto. In molte tele riproducenti questo tema, mio padre ha sempre cerca­to; di non tradire la forma oggettiva (da qui il suo realismo, che qualcuno ha anche definito restrittivamente ‘fotografico’) ma questo non gli ha impedito di giocare con il colore, steso in maniera assai morbida, fino a dare l’impres­sione che il processo cromatico sia avvenuto per sola via naturale. E’ certo che il papa era troppo legato all’oggetto, ma le sue nature morte non sono fredde.

           Per questo soggetto, mìo padre non sceglieva mai oggetti rari, ricercati etc. Gli bastava qualche frutto, qualche suppellettile domestico, insomma qualche elemento tratto da un semplice ed intimo interno casalingo…..

La natura morta comporta che l’artista non sia implicato da problemi psicolo­gici. Egli si dimentica come soggetto, non dovendo riprodurre la soggettività individuata, semmai dovendo soltanto esprimere attraverso l’oggetto una sen­sibilità soggettiva. Mio padre si calava talmente nell’oggetto, da sentirne tutto il fascino soggettivo.

Quel pittore che ha grande propensione per la natura morta spesso è accusa­to di avere scarsa fantasia. Questo soggetto – così si dice – indurrebbe l’arti­sta a calarsi troppo nell’oggetto, a scapito della libertà soggettiva. Non cre­do a queste conclusioni. La natura morta invita alla semplicità, il che non significa che il pittore che la ritrae sia un semplicista. Semmai egli sente ancora un legame con l’oggetto, non certamente in un modo obiettivo….

La natura morta è un soggetto altrettanto elevato che il ritratto, il paesaggio, etc. In arte non si danno opere di prima e di seconda categoria, soltanto perchè il soggetto ritratto è differente. Mio padre sapeva coscientemente tutto ciò: la sua chiarezza interiore, il suo bisogno di respirare una semplicità naturale, lo portava necessariamente a soluzioni non  complicate, intendo dire, non sofisticate, per nulla cerebrali, e la natura morta si prestava a questo scopo…..

Se penso alla delicatezza di stesura cromatica di moltissime nature morte dipinte da mio padre e alla ruvidezza con la quale moltissimi altri pittori trattano il colore, non posso astenermi dall’attribuire a mìo padre una sen­sibilità cromatica di certo assai rara. Spesso, visitando mostre, sono lette­ralmente schiafeggiato da una brutalità di pennellata, che il mio primo moto di reazione è il disgusto. Esiste indubbiamente una intelligenza del colore la quale svaria per diversi gradi nella tela, una sapienza che si trasforma mediatamente in delicatezza, in artificio interiore dell’effetto.

Soltanto per un occhio ipertroficamente interiore, la natura morta dice poco. L’arte ha bisogno di oggettività, e questa di un ineliminabile legame con la natura.

C’è la mania di proiettare con la pittura i nostri inconsci, le immagini di sogno etc. e di ritenere che questa sia la strada maestra per l’arte contempo­ranea. Pare che i critici che navigano sulla cresta dell’onda, siano di questa opinione…..

Ad ogni epoca la propria arte. Dopo le due orribili guerre mondiali, si dice, non è più possibile fare poesia, né arte. (si risveglia l’ipotesi hegeliana della morte dell’arte). Quanto vediamo è il non senso, ossia il nulla dell’uomo di oggi. Che senso può avere, ci si chiede allora, il paesaggio ? – nessuno…..

Lo stesso figurativismo, così intimamente legato alla natura, cessa di avere senso. L’arte,dopo questi eventi,non può più riprodurre armoniosamente la figu­ra così deturpata, decomposta, dalla bestialità umana…..

 

Gustavo Mattiuzzi    6  Dicembre  1983